Il risveglio delle coscienze tra inettitudine e malattie immaginarie
Quando si parla di “inettitudine” ci si riferisce letteralmente
ad uno stato psico-fisico caratterizzato
da assoluta mancanza di “attitudine”
e quindi di capacità, di qualunque natura esse siano. Il risultato è quindi
indolenza, demotivazione, assenza di propositi anche a breve termine, ed una costante “neutralità” a tutto.
Il nostro Maestro Dante aveva già ben inquadrato questa tipologia di esseri umani,
o meglio, li aveva già “incorniciati” relegandoli nell’Antinferno
del suo Aldilà. Gli ignavi (Inferno, canto III, vv. 22-69) sono costretti
a correre dietro una bandiera bianca (il bianco è il colore neutro per
antonomasia e rappresenta il fatto che in vita costoro non avessero mai fatto una scelta politica).
Mentre corrono, vengono punti e
tormentati da vespe e mosconi e, il
sangue che sgorga dalle loro ferite, alimenta i vermi che nascono dal terreno. Le
loro lacrime sono il simbolo sia
della gioia che del dolore, sentimenti che in vita essi non hanno mai provato
realmente , vivendo sempre nella piatta indifferenza al mondo; il sangue
invece, è il simbolo del sacrificio che, in una vita
dignitosa, si è disposti a versare per raggiungere i propri obiettivi; invece
gli ignavi, per contrappasso, sanguinano
in eterno, proprio a causa di una intera
vita priva di sacrifici e di scelte. Sono talmente spregevoli che lo stesso Dante
non li colloca neanche all' Inferno, dove peraltro non li vorrebbero neanche i
dannati, che sono tali ,ma almeno hanno
avuto il coraggio di compiere una scelta.
L’inetto, l’anti-eroe, il distaccato, è anche il protagonista del romanzo “La
coscienza di Zeno” di Italo Svevo, scritto tra il 1919 e il 1922.
Zeno Cosini, uomo originario di una ricca famiglia triestina, costituisce in
un certo senso, l’incarnazione novecentesca
dell’ignavo dantesco; egli trascorre la maggior parte della sua vita cercando
giustificazioni alla sua eterna insoddisfazione esistenziale
senza però mai realmente attivarsi per cercare di cambiare modus vivendi. Non è in grado di prendere decisioni
importanti e significative motivando questa sua incapacità con la malattia, con la cronica nevrosi che si è impossessata di lui,
“suo malgrado”. E' per questo che, pur con molte perplessità, inizia un ciclo di sedute presso lo studio psichiatrico del Dottor S.
Sappiamo del suo tormentato rapporto con un padre austero che
Zeno non vorrà mai imitare, non tuttavia per reale disprezzo nei suoi
confronti, ma per reale incapacità. Zeno sa bene che non potrà
mai reggere il confronto con l’autorevolezza di suo padre, pater familias, uomo
che nella vita è riuscito ad inquadrarsi perfettamente negli schemi di una impostata società borghese
sempre più dilagante in quegli anni. Il padre resterà, pertanto, una figura
sempre abbastanza invisa al figlio.
Sappiamo anche del suo rapporto
con le donne e della sua pseudo scelta di accontentarsi di Augusta, una donna non bella, ma “comoda”,
ovvero affidabile e in grado di trasmettergli stabilità, sicurezza emotiva e, allo stesso tempo, capace di ricordargli la figura piacente della madre che, in vita, lo aveva sempre protetto e,
appunto, giustificato in qualsiasi occasione.
Ma le contraddizioni di Zeno non
mancano di certo nemmeno in ambito amoroso: il suo matrimonio con Augusta
funzionerà solo grazie alla sua relazione clandestina con un’altra donna: Carla, l’amante, una donna molto più giovane
di lui, che riuscirà a fargli scoprire quel ruolo di padre (piuttosto che di
uomo) che egli non aveva mai provato prima, ma che, allo stesso tempo, metterà ancor di più in risalto la sua inettitudine
sul piano della determinazione e decisione. Dopo eterne titubanze di Zeno sull’opportunità di
continuare questa tresca, sarà proprio Carla a lasciarlo.
Sappiamo ancora della sua scarsa
abilità imprenditoriale in ambito lavorativo e della sua associazione commerciale
con suo cognato Guido, il quale chiede aiuto a Zeno per
risollevare un po’ le sue finanze. Zeno accetterà, non certo per solidarietà o
spirito fraterno, ma solo per sentire un senso di “rivalsa” nei confronti del
cognato che aveva sposato Ada, la sorella più bella di Augusta. Anche questa esperienza però si rivelerà un
fallimento: assisteremo infatti al suicidio di Guido, al tentativo non riuscito
di Zeno di salvarne il patrimonio, e al disprezzo di Ada nei suoi confronti per
essere arrivato tardi al funerale di suo marito accodandosi addirittura alla
processione funebre sbagliata.
E cosa dire del vizio del fumo?
Riguardo questo argomento, ahimè,
c’è un po’ di Zeno Cosini in molti di noi, che nella sigaretta riponiamo la
parte nevrotica, insoddisfatta, annoiata, frustrata, stanca e irritabile di
noi. Ma anche la parte inetta. Quante volte ci è capitato di fumare senza un
motivo? Solo per ammazzare il tempo (oltre che la nostra salute!), solo perché
in quel momento non avevamo nulla da fare e …tra una decisione e l’altra da
prendere (e che magari non abbiamo ancora preso), ci “abbiamo fumato su?”.
Zeno, dopo aver fatto al suo
psicanalista, il dottor S., l’excursus storico della sua esperienza di
fumatore, con il buon proposito di riuscire a smettere, in verità realizza che la
sua U.S. (Ultima Sigaretta, sigla
con cui decora pagine di libri o
eventi importanti che dovrebbero segnare
una svolta) sarà la più piacevole che abbia mai fumato, proprio… in quanto
ultima! Il commiato alla sigaretta diventa per Zeno un’occasione di godimento puro.
Dunque si ritrova a dover combattere tra la decisione di smettere di fumare e quella, in caso di successo del primo
proposito, di rinunciare all’ultima fantastica amabile sigaretta!
Zeno naturalmente non smetterà
mai di fumare.
Alla fine del romanzo egli giunge
alla conclusione che, non solo la psicanalisi è assolutamente inefficace a
guarire dai suoi mali interiori, ma che in verità , la vera malattia è insita
nella società in cui vive. E’ la società borghese dei primi del novecento che
lo costringe ad essere malato.
E’ una società fragile ed inconsistente, basata su un sistema di relazioni e ideologie sostanzialmente
corrotto. La MALATTIA degli uomini si manifesta nella sua passiva accettazione,
nel conformismo, nella ritualità di molti comportamenti, nella manifestazione
di “affettazione” piuttosto che affetto,
ignoranza, mancanza di senso critico, finto perbenismo, insomma, la vita tipica di una classe ignava che ha
perso la sua vitalità e non è più in grado di perseguire obiettivi
significativi. Diventa più importante
apparire che essere autentici.
The strange case of Dr. Jekyll
and Mr. Hyde. Illustrated by Charles Raymond Macauley (1904).
La flemmatica rassegnazione di
Zeno alla malattia, viene tuttavia superata
dalla sua spiccata ironia e superiorità intellettuale. Non è sicuramente un
malato inconsapevole.
Vi sono molte somiglianze tra la
malattia di Zeno e quella di Don Argante de “Il malato immaginario” di
Moliere (siamo nel 1673). Così come
Zeno critica e non si fida delle cure mediche del suo psicanalista (erano i
primi anni del Novecento e la psicanalisi di Freud si stava diffondendo a macchia d’olio, con
ripercussioni non solo in campo medico, ma anche artistico), allo stesso
modo Moliere, nella sua commedia opera
una canzonatura sottile della figura professionale del medico, descritto come avaro, egoista, formalista, il cui unico scopo è prolungare la degenza dei
propri pazienti per cercare di vendere loro più farmaci e riempire le proprie
tasche. Ancora dunque una malattia che è il riflesso di una società altrettanto
malata e corrotta.
Che ne pensate di Zeno Cosini?
Una semplice domanda da porre ai nostri studenti per conoscere
la loro personale idea di eroe ed anti-eroe. Cosa o chi, al giorno d’oggi potrebbe renderci
eroi? La nostra società, nelle sue contraddizioni e nella sua complessità, ci
da ancora la possibilità di esprimere il nostro eroismo morale, intellettuale,
umano? Siamo anche noi, come Zeno, vittime consapevoli (o meno) di una società
inquinata da stereotipi, modelli e chiché?
Sebbene in molti di noi, possa
spesso prevalere la tentazione alla “convenienza” di sentirci malati immaginari,
o ancora, indifferenti a ciò che accade
attorno noi, incompresi solo perché ciò che ci gravita attorno, non ci piace,
credo che l’inettitudine sia la peggiore delle soluzioni, nonchè uno dei peggiori vizi capitali!!!
Non basta realizzare che la
nostra società sia malata e per questo, lasciarci contagiare. La nostra
superiorità intellettuale non deve limitarsi ad una semplice presa di coscienza. Quest’ultima deve sposarsi
all’iniziativa personale, alla reazione, al senso di urgenza al cambiamento,
alla rimozione di tutta quella polvere che si è posata sulla nostra volontà.
L’eroe è, e sempre resterà, nelle
nostre menti di bambini e bambine, colui che combatteva, agiva, cadeva e si
rialzava, sacrificava persino se stesso perché
trionfasse il bene.
Diamoci uno scossone, svegliamoci, viviamo da sani, non da malati immaginari!
Mara
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