La libertà di parola spiegataci da Salvatore Quasimodo
QUASIMODO
Alle fronde dei
salici
[da Giorno dopo
giorno (1947)]
E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra
il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al
lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo
nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste
vento.
E come avremmo potuto
noi poeti comporre
con il nemico nazista
nel nostro territorio amato,
tra i cadaveri
abbandonati nelle piazze
sul suolo ghiacciato
dal rigido inverno, tra il pianto
innocente dei
bambini, tra le urla di dolore strazianti
delle madri che
piangevano i loro figli sacrificatisi
come Cristo sulla
croce?
Alle fronde dei
salici[1], per
un pegno di silenzio,
abbiamo appeso le
nostre poesie[2],
che ora restano
sospese nel dolore che soffia su di noi.
In questa poesia così passionale, al di là della pura bellezza delle
parole selezionate dal poeta, delle immagini scelte con estrema
sensibilità per figurare nella mente del
lettore il tragico scenario della guerra e dell’invasione nazi-fascista del
territorio italiano, e ancora, al di là dei richiami biblici volutamente
finalizzati a suscitare sentimenti di compassione per il destino umano, ma
anche di solidarietà e fratellanza tra gli uomini, ciò che più sento straordinario è lo stato
d’animo del poeta e la sua posizione di umanità e comprensione nei confronti dei
poeti ermetici.
Sappiamo infatti che gli ermetici furono duramente attaccati
dai successivi poeti neorealisti, che a differenza loro, scelsero di urlare,
denunciare e riportare nei propri scritti,
testimonianza delle oscenità della guerra e delle brutture e mostruosità del
regime nazi-fascista. I neorealisti non riuscivano a spiegarsi perché i loro
colleghi ermetici avessero invece preferito tacere, contrarre le parole invece
che spiegarle al vento, velare le poesie di mistero e indefinito, invece che
usarle per ribellarsi.
La poesia ermetica, sappiamo tutti essere poesia recondita,
chiusa ad ogni spiraglio di chiarezza, misteriosa e condensata. Ma i lettori si
sono mai chiesti il perché?
Salvatore Quasimodo, che visse a cavallo tra la seconda
guerra mondiale e il secondo dopoguerra lo sapeva benissimo il perché. E in
questo breve capolavoro di pietà e tenerezza assieme, che fa parte della
raccolta “Giorno dopo giorno” pubblicata nel 1946, , ce lo spiega con molto trasporto ma anche in
modo molto crudo:
come sarebbe stato possibile scrivere poesie liberamente in
un Paese in cui la libertà non v’era più? Come sarebbe stato possibile
esprimere le proprie idee e il proprio dissenso in un contesto minaccioso in
cui era stata negata la libertà di pensiero e di parola, di affermazione della propria
identità, della propria posizione politica e intellettuale? La parola d’ordine
all’epoca era censura, e laddove non fosse sufficiente, allora…esecuzione
capitale, morte, NON scelta, NON alternativa.
Non dobbiamo pertanto stupirci se le poesie dei nostri
Ungaretti e Montale, ad esempio, siano cariche di mistero e penombra. I nostri
scrittori nel mistero cercavano persino un senso, perché non riuscivano a
trovarlo in quella realtà disumana. La poesia diventa così l’unica via per
esprimere l’inesprimibile. L’unico rifugio alla violenza e alla sopraffazione,
l’unica voce, seppur strozzata, di amore e attaccamento alla vita.
Con questo breve post su cui molto altro si potrebbe dire,
mi piacerebbe che i miei colleghi e amici amanti delle lettere, amanti della
FORZA delle PAROLE, potessero prendere spunti proficui per insegnare ai nostri
giovani che la PAROLA è uno strumento
DEMOCRATICO, è il mezzo attraverso cui l’uomo si rende UMANO, e con questo
aggettivo voglio proprio riferirmi a quella humanitas
latina (termine usato per la prima volta da Cicerone) che indica prima di tutto
il “rispetto dell’uomo in quanto tale”, un “sentimento benevolo nei confronti
degli altri uomini”. Ecco, questo sentimento di umanità è stato spregevolmente
violato, macchiato e seviziato dai regimi totalitari.
A volte rabbrividisco quando sento ancora parlare in termini
quasi di gratitudine dell’operato politico di “quel duce” che, ahimè ha
sporcato la bellezza del nostro Paese e ha disseminato orrore per oltre un
ventennio. Ho anche sentito affermazioni di questo tipo: “quando c’era lui
tutto funzionava, poi si è lasciato prendere la mano….”. Vietare la libertà di
pensiero, di stampa, di libera associazione, perseguire gli ebrei, istituire
leggi fascistissime controllandone il rispetto con manganello, olio di ricino e
uccisioni, imporre un monopartito, plagiare menti e coscienze sin da tenera età
con materiale didattico preconfezionato con testi, immagini ed esercizi recanti
riferimenti continui al duce, e poi ancora istituire un corpo di polizia
cruento, mandare al confino i dissidenti…e tanto altro ancora purtroppo…può
definirsi un riduttivo “lasciarsi prendere la mano?”.
Non dimentichiamoci, non fermiamoci in superficie, informiamoci,
studiamo, LEGGIAMO i testi e le poesie di coloro che hanno vissuto con terrore
e assieme coraggio quel passato di scandalo e oscenità. Mai come le parole di
quei poeti furono più pregne di significato, di amore per la vita, di speranza
di un futuro più dignitoso.
Sappi solo che mi sono commossa leggendo questo post.
RispondiEliminaKetty
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RispondiEliminaGrazie sorellina, non ti nego che io mi sono commossa nello scriverlo...❤️
RispondiEliminaGrazie profeeeeeeeeeeeeeee per il momento informazione da parte di tutta la classe
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