Scriviamo l'Amore!
In questo post parlerò di lettere d’amore, dichiarazioni d’amore,
parole d’amore scritte, fenomeni ormai in via d’estinzione come i panda o gli
gnu. Magari c’è qualcuno che ancora, andando contro corrente, rinuncia ad
idolatrare se stesso sul palco di Facebook o Instagram, per idolatrare il suo
amato/a usando ancora la penna e il
foglio di carta. Magari un post it sul frigorifero. In un’epoca in cui si va
sempre perennemente di fretta, anche il pezzettino di carta è accettato.
Accontentiamoci.
Ironia a parte, come sempre avviene quado mi metto a scrivere di
argomenti letterari, ciò che immagino è l’impatto che tali argomenti possano
avere sulle generazioni più giovani. Da un lato penso che gli adolescenti di
oggi, nativi digitali sin dalla prima ecografia, siano attratti da ben altri
interessi che la vecchia letteratura. Dall’altro però, non si può negare che la
scuola odierna e soprattutto le nuove generazioni di docenti, si siano messe al
passo coi tempi e con le esigenze dei nuovi studenti. Ci sono scuole che hanno
iniziato da subito, scuole che l’hanno fatto gradualmente, altre con successo,
altre con qualche difficoltà. Ma tutte, tutte
cercano di rinnovarsi quotidianamente attraverso l’ausilio di strumenti
tecnologici e informatici che costituiscono quel gancio fondamentale per
catturare l’interesse dei nostri studenti e condurli in viaggi letterari che
anch’io trovo più avvincenti, proprio perché più “avvolgenti”, multi
sensoriali, multi-canale.
Oggi, per farvi un esempio, quando spieghiamo un autore, non ci
limitiamo a studiarlo sulla carta stampata. Possiamo ascoltare le sue poesie
recitate dalla calda voce di qualche attore teatrale grazie a Youtube, possiamo
guardare film o documentari girati ad hoc da qualche regista lungimirante,
possiamo fare approfondimenti grazie a milioni di piattaforme letterarie o blog
che troviamo in rete e possiamo aggiornarci senza troppa fatica di spostamenti
partecipando a web in air letterari, in classe con la Lim, o comodamente
a casa col pc e le cuffiette. Non sto ad elencarvi quanto altro si possa fare
oggi a scuola perché rischierei di uscire poi fuori traccia, e dio sa quanto
grave sia agli occhi di un docente di lettere, uscire dalla traccia! Per carità!
L’argomento di oggi, come dicevo è l’amore messo per iscritto. Bene,
tecnologia a parte, questi nostri adolescenti moderni, pur sempre adolescenti
sono, per cui, anche loro staranno provando per la prima volta l’ebbrezza dell’innamoramento.
Ci siam passati tutti. Il mio invito a loro è proprio quello di accantonare,
almeno per questo argomento, il supporto digitale ed impugnare la cara penna
per vivere quel tumulto interiore e quelle vertigini allo stomaco nel tremore
di una mano che scrive, nella scrittura disconnessa dall’emozione, nel punto
esclamativo e nei puntini di sospensione, nelle vocali finali ripetute alla
stregua di numeri periodici, nei cuoricini disegnati a mano con la freccia di
Cupido che li attraversa da parte a parte, insomma nelle parole imperfette ma
autentiche, scritte da noi stessi.
Ma qualunque sia la vostra grafia, cari ragazzi, scrivete, scrivete l’Amore!
CARME V DI CATULLO (I sec a.C.)
L’incipit
di questo carme è famosissimo. E’ l’invito rivolto a Lesbia affinché ella ceda
all’amore e al rapimento dei sensi ignorando la perfidia dei vecchi perbenisti
ed invidiosi. Questa dichiarazione d’amore
è incentrata sul mezzo di trasmissione dell’amore, più intenso di sempre: il bacio, anzi
centinaia di baci, migliaia di baci. Di contro alla fragilità e alla fugacità della vita, il bacio foriero di forza ed
energia, sarà l’aggancio alla vita che,
grazie all’amore, si rinnoverà in eterno.
Cari
ragazzi che studiate Catullo al liceo, avreste mai immaginato quanta passione e
fuoco carnale ardesse nel nostro antichissimo autore? Scollate questi versi dal
vostro manuale e provate a leggerli fingendo di dedicarli alla ragazza che
amate. Magari non fingete, dedicateglieli sul serio! Sono convinta che la
fanciulla apprezzerà.
Viviamo,
mia Lesbia, ed amiamo,
Viviamo,
mia Lesbia, ed amiamo,
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.
Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto.
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.
Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto.
(traduzione
di Salvatore Quasimodo)
Passiamo ora ad una lettera d’amore
(del 1939) di una donna eccezionale, una roccia a forma di donna, la pittrice Frida Kahlo, che ha convertito uno
stato di invalidità fisica durato tutta la vita a causa di un grave incidente
stradale, in rinnovata forza fisica e vitalità
interiore soprattutto.
Il destinatario è l’artista Diego Rivera, uomo affascinante e
dannato, donnaiolo soprattutto, croce e
delizia per la nostra Frida che, tuttavia, non ha mai smesso di amarlo. Peccato
che questa lettera non sia mai giunta a destinazione, e proprio per questo,
resta ai nostri occhi ancor più intrisa di passione mai effusa, di fuoco mai
spento, di sete mai placata.
Molti di voi penseranno che Frida
non fosse stata proprio una Venere di Botticelli quanto a bellezza, ma di passionalità
e ardore ne aveva da trasmettere e da scrivere. Leggiamo insieme le sue parole
d’amore e di disperazione assieme.
“La mia notte è senza luna. La mia notte ha grandi occhi che guardano
fissi una luce grigia che filtra dalle finestre. La mia notte piange e il
cuscino diventa umido e freddo. La mia notte è lunga e sembra tesa verso una
fine incerta. La mia notte mi precipita nella tua assenza. Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino al mio, il tuo respiro, il
tuo odore. La mia notte mi risponde: vuoto; la mia notte mi dà freddo e
solitudine. Cerco un punto di contatto: la tua pelle. Dove sei? Dove sei? Mi giro
da tutte le parti, il cuscino umido, la mia guancia vi si appiccica, i capelli
bagnati contro le tempie. Non è possibile che tu non sia qui. La mie mente
vaga, i miei pensieri vanno, vengono e si affollano, il mio corpo non può
comprendere. Il mio corpo ti vorrebbe.
Il mio corpo, quest’area mutilata, vorrebbe per un attimo dimenticarsi nel tuo
calore, il mio corpo reclama qualche ora di serenità. La mia notte è un cuore
ridotto a uno straccio. La mia notte sa che mi piacerebbe guardarti, seguire
con le mani ogni curva del tuo corpo, riconoscere il tuo viso e accarezzarlo.
La mia notte mi soffoca per la tua mancanza. La mia notte palpita d’amore,
quello che cerco di arginare ma che palpita nella penombra, in ogni mia fibra.
La mia notte vorrebbe chiamarti ma non ha voce. Eppure vorrebbe chiamarti e trovarti e stringersi a te per un attimo e
dimenticare questo tempo che massacra. Il mio corpo non può comprendere. Ha
bisogno di te quanto me, può darsi che in fondo, io e il mio corpo, formiamo un
tutt’uno. Il mio corpo ha bisogno di te, spesso mi hai quasi guarita. La mia notte si scava fino a non sentire
più la carne e il sentimento diventa più forte, più acuto, privo della sostanza
materiale. La mia notte mi brucia d’amore.”
HO SCESO DANDOTI
IL BRACCIO, ALMENO UN MILIONE DI SCALE
Eugenio Montale
Eugenio Montale
Questa poesia di Montale è una
tenerissima lettera d’amore scritta a sua moglie Drusilla Tanzi,
affettuosamente soprannominata “Mosca”, dopo la morte della stessa che risale
al 1963.
E’ dunque una lettera non
finalizzata ad una conquista ma all’instaurazione
di un intimo dialogo con la donna scomparsa alla quale il poeta vuole rivelare
il senso di vuoto che gli ha lasciato.
Dal ricordo di una vita di coppia
trascorsa sempre l’uno affianco all’altro in un costante e mutuo sostegno, l’autore
con commozione tangibile, svela a sua moglie che, nonostante lui l’abbia
aiutata tante volte in situazione rischiose (scendere le scale è anche metafora
di cammino impervio), in realtà, è stata lei la vera guida della sua vita, sono
stati gli occhi di lei, i fari che hanno illuminato sempre la strada del poeta.
Trovo personalmente questi versi
di una tenerezza smisurata, indice di un amore maturo e imperituro.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo
che di noi due
le sole vere pupille, sebbene
tanto offuscate,
erano le tue.
Chiudo questa breve selezione con un frammento antichissimo
della letteratura greca antica, che rientra in quei sessanta componimenti anonimi contenuti nell’Antologia Palatina, attribuiti
erroneamente per anni al poeta lirico greco Anacreonte di Teo (570 a.C.).
Proprio per questo motivo, quelle poesie
furono denominate “Anacreontee”,
ovvero imitazioni di Anacreonte di cui riprendevano molti temi, come il vino,
il simposio, l’amore. Si tratta invece di composizioni poetiche più tarde
rispetto al poeta greco, risalenti probabilmente al periodo romano.
Sono certa che la destinataria di queste soavi parole, nell’ascoltarle
o leggerle, abbia avuto a suo tempo, la
sensazione di sentirsi una principessa o, magari, lo era sul serio.
Una vera dichiarazione di “asservimento” da parte di un uomo talmente innamorato della
sua fanciulla da essere disposto a tramutarsi in tutti quegli oggetti che
entravano in contatto col corpo di lei. Metamorfosi
dunque, come stratagemma per restarle intimamente vicino. Il poeta si dichiara
disposto a rinunciare alla sua personale
fisicità pur di unirsi all’oggetto del suo amore. Non mancano i riferimenti agli aspetti più passionali ed erotici di questo amore struggente.
Potessi farmi specchio,
ché mi guardassi sempre
o diventare tunica
ché sempre mi portassi.
Vorrei cambiarmi in acqua
per lavar la tua pelle.
Trasformarmi in un balsamo
fanciulla mia
per uso.
Fascia per il tuo seno,
perla appesa al tuo collo,
in sandalo mutarmi
purché mi calpestassi.
Di lettere e dichiarazioni d’amore, in ogni letteratura, ve ne sono all’infinito. Io ho scelto questi
brani perché sono rappresentativi di epoche molto diverse tra loro ma, come si
può notare, tutte sono accomunate dall’eternità di un sentimento che parla la
stessa lingua ovunque, che provoca lo stesso effetto di smarrimento e
agitazione ovunque, che è davvero un peccato ridurre, come avviene oggi, ad un
emoticon a forma di cuore.
A tutti i ragazzi e le ragazze, il mio appello è ancora lo
stesso: descrivete il vostro amore, scrivetelo, riempite pagine o, se volete
disegnarlo con un cuore, disegnatelo a mano.
Mara Tribuzio
Fonti:
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