L'intramontabile "Isola di Arturo"
C’è un’Isola-che-non-cè per ogni bambino, e sono tutte differenti.
(Peter Pan)
(Peter Pan)
La profondità dell’amore crea un oceano intorno a te e tu diventi
un’isola.
(Buddha)
(Buddha)
Io sono nato in Sicilia e lì l’uomo nasce isola nell’isola e rimane
tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall’aspra terra natìa circondata
dal mare immenso e geloso.
(Luigi Pirandello)
(Luigi Pirandello)
Molte persone trascorrono la loro intera vita in un’isola fantastica
chiamata “Un giorno io farò…”.
(Denis Waitley)
(Denis Waitley)
Per un bambino ogni isola è un’isola del tesoro.
(PD James)
(PD James)
Esiste un'isola di opportunità all'interno di ogni difficoltà.“
(Demostene)
In questo nuovo articolo vorrei
parlare di isole nell’accezione più
simbolica e rappresentativa del termine.
L’isola, infatti, è un territorio
che in noi può suscitare molte sensazioni, diverse a seconda del nostro stato
d’animo, della nostra età, del nostro temperamento e, soprattutto, della nostra
inclinazione alla vita.
Chi affronta ogni giorno con il
calendario e l’orologio incollati alla mano, vedrà l’isola come un luogo di
smarrimento, ansie e perdita di punti di riferimento. Il solo pensiero di
essere circondati interamente dal mare, potrebbe causare attacchi di agorafobia o angoscia
esistenziale. L’isola può diventare sinonimo di prigione, confino,
estromissione dalla vita sociale. L’isola rallenta il ritmo della
frenesia, interrompe una corsa, riduce
la velocità cui la quotidianità abitua e sottomette.
Chi è più benevolo con se stesso
e ricerca dentro sé roccaforti in cui proteggersi e difendersi, chi vive le
proprie giornate con serenità e la giusta dose di urgenza alla vita, vedrà
l’isola come un morbido fazzoletto di terra su cui adagiarsi e riposare,
lasciarsi abbracciare dal mare e perdersi nella linea indistinta
dell’orizzonte. Saprà riconciliarsi con la natura stessa e tarare il proprio
livello di pretese ad un valore più
basso, più naturale. L’isola diventa il luogo della riflessione, del giudizio,
della scoperta di se stessi.
Chi è ancora bambino, fuori e
dentro, vedrà nell’isola il luogo della magia, del mito, delle storie
fantastiche di cui, almeno una volta nella vita, si vorrebbe essere
protagonisti. Più l’isola è sperduta e sconosciuta, più l’entusiasmo ne trarrà
benefici. Tutti da piccoli siamo rimasti incantati dall’isola di Peter Pan,
l’isola del Tesoro con le sue storie di bottini e pirati, l’isola di Ogigia o
della Maga Circe, l’isola dei Lestrigoni, dei Ciclopi o di Eolo, su cui di
volta in volta l’audace e temerario Odisseo approdava per imbattersi
inevitabilmente in una nuova avventura.
Come sempre, anche in questo
argomento, e soprattutto quanto a dosi di stupore e meraviglia, i bambini
battono gli adulti 10 a 0 !
Poi vi è chi considera le isole
luoghi ancestrali, ma in una accezione negativa, ovvero arretrati, addirittura
retrocessi sotto alcuni aspetti. Gli aspetti più legati all’economia, allo
sviluppo degli agi e della civiltà, nel senso più materiale del termine. E gli
isolani saranno persone bigotte, bacchettone, asociali e fuori del mondo.
L’isola come pezzo di terra dimenticata da Dio o dagli uomini “emancipati”.
Quando qualcuno non la pensa come
noi o mostra una certa diffidenza e chiusura di vedute, lo si addita sempre
come “isolano”. Senza però considerare che, spesso, i peggiori “isolani” (se
proprio dobbiamo usare questo termine in tono dispregiativo) sono coloro che, pur vivendo su vasti
territori collegati perfettamente al resto del mondo, si auto isolano dal
proprio vicino di casa, dalla propria famiglia, o da popolazioni straniere, per
puro egoismo, ignoranza, e difficoltà relazionali di natura personale.
Ognuno di noi, a questo punto, potrebbe diventare un’isola staccandosi mentalmente
o emotivamente dagli altri ma, allo stesso tempo, vivendo tra gli altri! Quale
diabolica contraddizione.
Ma ora veniamo al riferimento
letterario su cui vorrei focalizzare la mia, e spero anche la vostra
attenzione. Un romanzo di un’intensità emotiva molto forte e variegata, del secondo novecento, scritto da una straordinaria autrice che,
nelle scuole, bisognerebbe masticare di più e far rivivere nelle voci e nei
cuori dei nostri alunni: “L’isola di
Arturo” di Elsa Morante.
E’ la storia di un ragazzino,
Arturo, probabilmente l’alter ego della
stessa scrittrice che in alcune sue confessioni avrebbe rivelato di aver
preferito nascere maschio.
Un adolescente ancora acerbo e fantasioso, e della
sua isola, che nella realtà corrisponde a Procida, un’isola molto cara alla
Morante.
Arturo è figlio orfano di una
mamma isolana nata in quell’isola ma morta precocemente, e di un padre italo
austriaco, Wilhelm, che aveva ereditato da un vecchio misogino del luogo,
legato a lui da amicizia, una casa- fortino detta la “casa dei Guaglioni” . Wilhelm è un uomo di un fascino ambiguo e
misterioso e agli occhi del piccolo Arturo appare come un vero e proprio eroe
che compie lunghi viaggi per mare e torna dopo lunghi tempi di assenza.
E’ proprio per via di quel
padre errante che Arturo vive sull’isola
in quasi completa solitudine, all’interno di quel castello diroccato, che
egli, con la sua fervida fantasia, proietta in una dimensione mitica;
i suoi unici compagni sono Silvestro, suo amico, e la sua amata cagnolina.
Arturo trascorre la maggior parte del suo tempo a progettare viaggi
fantastici, come quelli del padre, e a leggere storie sui condottieri del ciclo
cavalleresco. L’isola diventa per lui il luogo della fiaba, dell’avventura, dei
sogni di vittoria in guerriglie contro pirati o nemici predoni. E nei suoi sogni
è ispirato dalla figura paterna, idealizzata all’estremo e modello indiscusso
da emulare.
Wilhelm, un giorno, porta a
casa da uno dei suoi viaggi una giovane moglie, Nunziatella, una ragazza
di sedici anni proveniente dai bassifondi di Napoli. Dapprima Arturo si mostrerà geloso della matrigna, poiché quest’ultima le
sottrarrà tempo prezioso da trascorrere con suo padre, e costituirà un terzo
incomodo tra loro.
Tuttavia, dopo la nascita
del fratellastro, Carmine, Arturo si accorge che i suoi contrastanti sentimenti
per Nunziatella sono dovuti al fatto di essere attratto da lei,
sua coetanea. Cerca in tutti i modi di farsi notare, ma questa mostra
attenzioni solo verso il figlio appena nato: Arturo così, per attirare le
attenzioni di Nunziatella, finge
il suicidio, assumendo delle pillole di sonnifero del padre. Durante la convalescenza Arturo dà sfogo alle sue nuove
emozioni, baciando la ragazza, ma viene rifiutato.
Per Arturo Inizia ben presto, una fase di sperimentazione delle pulsioni
sessuali, che egli sfoga con una giovane vedova di nome Assunta, la quale
tuttavia, ha anche altri clienti al suo seguito. Questo sarà motivo di
delusione per il ragazzo, alla quale segue un’altra grande delusione: la
scoperta che quel padre tanto idolatrato, non è affatto come lui lo aveva
disegnato nella sua fantasia di bambino. Wilhelm infatti, ogni volta che si
allontana dall’isola, non si dirige a compiere imprese gloriose ed eroiche, ma si reca sempre a Napoli alla volta di una vita
dissoluta che lo porta pure ad intrecciare una relazione
omosessuale con un uomo.
Disilluso e turbato, Arturo decide
di lasciare Procida, abbandonando quel
paradiso fantastico in cui aveva trascorso la sua infanzia: si arruola
volontario, con l’amico Silvestro, come partigiano in guerra. Scriverà le sue
memorie da un campo di prigionia in Africa.
E’ una storia a metà tra i sogni
meravigliosi della fanciullezza e la cruda realtà dell’età adulta, fatta di
menzogne, errori, corruzione della purezza giovanile.
Illusione e disillusione,
speranza e rassegnazione, decisioni
importanti e spirito critico. E’ il romanzo della crescita, di un percorso che
condurrà Arturo a raggiungere la maturità dopo una serie di prove e di scoperte
di sensazioni e impulsi che, da un lato, lo turberanno, dall’altro gli
illumineranno la via giusta da percorrere per crescere.
Lo sfondo dell’intera storia è l’isola
con la sua atmosfera onirica, fiabesca, avventurosa. Sarà proprio la stessa
isola a permettere ad Arturo di ergere ponti attraverso cui raggiungere nuove
sponde e continuare a vivere guardando il mondo da nuove più mature
prospettive.
Di seguito un estratto del
romanzo sul tema dell’amore, sentimento nuovo ad Arturo, ma di cui egli già
intuisce la profondità:
"Uscivo, e mi pareva che tutti in
terra non facessero che baciarsi: le barche, legate vicine lungo l’orlo della
spiaggia, si baciavano! il movimento del mare era un bacio, che correva verso
l’isola; le pecore brucando baciavano il terreno; l’aria in mezzo alle foglie e
all’erba era un lamento di baci. Perfino le nubi, in cielo, si baciavano! Fra
la gente, là per le strade, non c’era persona che non conoscesse questo sapore:
le donnette, i pescatori, gli straccioni, i ragazzi. Solo io non lo conoscevo;
e mi venne una tale nostalgia di provarlo, che notte e giorno non pensavo quasi
ad altro. Mi mettevo a baciare, per prova, magari la mia barca; o un’arancia
che mangiavo, o il materasso su cui stavo disteso. Baciavo il tronco degli
alberi, l’acqua che affiorava dal mare; baciavo i gatti che incontravo per la
strada! E mi accorgevo di saper dare, senza che nessuno me lo avesse insegnato,
baci dolcissimi, veramente belli. Ma al sentire contro le mie labbra nient’altro
che una fredda polpa vegetale, o una corteccia rugosa, o un’amarezza salina; o
al vedermi accanto il muso camitico d’una bestia, che fusava e poi d’un tratto
se ne andava, piena di stravaganze, senza sapermi dire nulla; sempre più mi
amareggiava il paragone con quella bocca santa, ridente, che, oltre a baciare,
sapeva dire le più gentili parole umane! Mi dicevo: anch’io, un giorno o
l’altro, bacerò qualche persona umana. Ma chi sarà? quando? chi sceglierò, la
prima volta? E mi mettevo a pensare a diverse donne viste nell’isola, o a mio
padre, o a qualche ideale, futuro amico mio. Ma simili baci, al figurarmeli, mi
parevano tutti insipidi, senza valore. Al punto che, per una specie di
scaramanzia, volendo sperarne di più belli, li rifiutavo, anche soltanto nel
pensiero, tutti. Mi pareva che non si potesse mai conoscere la vera
felicità dei baci, se erano mancati i primi, i più graziosi, celesti: della
madre."
Mara Tribuzio
fonti:
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