«Io sono molto leggero, sì, sì, leg-ge-ro, leggerissimo»
Titolo : Il codice di Perelà
Autore: Aldo
Palazzeschi (1885-1974).
Genere: romanzo futurista? Anti-romanzo? Satira politica?
…semplicemente un romanzo geniale!
In un periodo come quello alla vigilia della Grande Guerra,
gli intellettuali futuristi considerati dai neutralisti e dai più moderati alla
stregua di mitomani per le loro forti
affermazioni -
« Non v'è più bellezza
se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può
essere un capolavoro. »
(dal Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti) -
si fanno strada in ogni campo del sapere e della cultura con
il loro mito della forza, del movimento, della velocità, del progresso, dello
svecchiamento del mondo.
Aldo Palazzeschi
si inserisce in questo filone culturale soprattutto come esponente di
quell’ondata di novità, entusiasmo e libertà espressiva in ambito letterario.
Perché mi ha incuriosita il Codice di Perelà? Sicuramente per la sua trama che trovo personalmente
al limite tra il genere fiabesco e la satira politica più che attuale. Il racconto, destrutturato
nei canoni classici e impostato interamente sul dialogo serrato, mi fa pensare
ad una fiaba fanciullesca ambientata in un regno inesistente (il regno di
Torlindao), dove vivono re e regine, dame di corte, giullari e servi in
sontuosi palazzi affrescati e arredati con argento e arazzi.
Ma la storia ha anche un po’ del genere fantasy e, perché
no, un pizzico di horror. Il protagonista infatti, Perelà (che è un nome
composto dalle sillabe iniziali di tre nomi di donne: Pena, Rete, Lama) non è un uomo reale, ha la
fisionomia di uomo ma è fatto di… fumo.
E’ una nuvola di fumo che, dalla fase embrionale fino ai 33 anni, è vissuto nel
comignolo di un caminetto, una sorta di utero nero, nutrito dal fuoco tenuto sempre acceso da tre
vecchine, appunto Pena, Rete e Lama, le quali con le loro chiacchiere e i loro “leggeri”
discorsi quotidiani hanno forgiato la mente e l’indole di Perelà.
Quando le tre vecchine muoiono, Perelà finalmente “nasce”, cioè esce dal
caminetto, inconsistente e impalpabile, grigio e fitto, e per essere
individuato dal mondo degli umani, indossa degli stivali (l’unico oggetto
palpabile del suo corpo).
Se ci pensate, l’immagine che si crea nella nostra mente è
alquanto macabra…
mi fa quasi pensare al protagonista di un film del 2000, “L’uomo
senza ombra” con Kevin Bacon, il quale, totalmente invisibile agli
occhi del mondo a causa di un esperimento fatto in laboratorio, indossa una maschera di gomma e dei guanti per
rendersi appunto “individuabile”.
Nella società di stampo settecentesco in cui Perelà si
troverà a vivere, la gente lo vedrà come un essere speciale, una sorta di dio
da venerare, sarà ricoperto di onori e considerazione, addirittura il Re di
Torlindao gli chiederà di redigere un codice di leggi per il suo regno (appunto
il “codice di Perelà”).
Il popolo intero lo amerà senza filtri.
…ma…
come in ogni bella fiaba che si rispetti, dopo una
situazione iniziale di felicità ed equilibrio, c’è sempre il momento della
rottura di quell’equilibrio, della crisi e del capovolgimento repentino della
situazione.
Accadrà infatti che Alloro,
un servitore del Re, per voler emulare Perelà e diventare “leggero” come lui,
si darà fuoco, illudendosi di trasformarsi in fumo, e ne rimarrà
inevitabilmente ucciso. A quel punto Perelà verrà ritenuto responsabile di
quella morte e tutti coloro che prima lo esaltavano come un dio, iniziano a
scagliarsi contro di lui, accusandolo di essere un assassino, desiderando solo
la sua espulsione dal regno e la sua condanna.
Il popolo intero lo odierà senza filtri.
La storia si concluderà con la fuga di Perelà di prigione e
con la sua “dissoluzione” ovvero liberazione in cielo dove tornerà ad essere
nuvola.
Come interpretare il personaggio di Perelà? Quale
significato dare all’intera vicenda? Numerose sono state le interpretazioni di
importanti critici a riguardo (ad esempio per Ardengo Soffici l’uomo di fumo è
la figura dell’intellettuale nella società contemporanea; Giorgio Pullini
invece sottolinea gli elementi sociologici del romanzo che fanno pensare ad una
critica alla società e ai valori borghesi; Luciano De Maria legge addirittura
in chiave religiosa l’intera storia cogliendo delle analogie tra Perelà e
Cristo. Perelà a 33 anni nasce sulla terra (Cristo a 33 muore sulla terra);
Perelà viene prima onorato e creduto dal popolo e dopo tradito e condannato
ingiustamente, come lo fu Cristo; Perelà alla fine salirà in cielo e continuerà
a vivere e a guardare il mondo dall’alto, come Cristo.
Al di là di queste interpretazioni da parte di nomi
importanti, dal mio modestissimo punto di vista, il romanzo di Perelà, va letto
così com’è, con la “leggerezza” di cui si vanta lo stesso protagonista sin
dall’inizio : “«Io sono molto leggero,
sì, sì, leg-ge-ro, leggerissimo», con l’ironia giusta e quel sorriso
indispensabile ad affrontare qualsiasi “pesantezza” della vita.
Per me Perelà è il simbolo dell’uomo un po’ stanco del suo
attaccamento al mondo materiale, della sua dipendenza psico-fisica dai beni
terreni, dai pregiudizi, dai codici di comportamento dettati da una società di
vecchio stampo, un po’ stufo del vecchiume culturale del mondo in cui vive e
della stoltezza della massa che in men che non si dica si schiera ora con i
buoni ora con i cattivi, così come soffia il vento (nel romanzo assistiamo
proprio a questo voltafaccia nei confronti di Perelà).
Accade dunque che l’uomo voglia STACCARSI da tutto ciò, e lo
fa in modo estremo, liberandosi addirittura del corpo, della sua parte carnale
e più vulnerabile alle passioni abiette.
Quando prova ancora ad immergersi in quel mondo,
attaccandosi ad un paio di stivali che gli conferiscono gravitazione, o
meglio…”gravità” e “pesantezza”, si rende nuovamente conto che non gli piace
affatto vivere laggiù.
Leggo il tutto come un invito ad avere un approccio meno
condizionato alla vita, più spensierato, meno “incastonato” e “incagliato”.
Perelà è uno che fa battute di spirito proprio a coloro che hanno bisogno di
più “spirito” e di meno fardelli, a coloro che hanno difficoltà a districarsi
dagli ingranaggi di una società di preoccupazioni.
Vi lascio con un estratto del romanzo dove, attraverso un
ritmo di lettura rapido e quasi da filastrocca,
meglio si coglie la natura leggera, ma non superficiale di Perelà. Non
sempre leggerezza e superficialità sono sinonimi…
i6 —
— Signore, in nome del
Re, della Regina, e di
tutta la corte, io vi
saluto ospite della reggia.
Il Re è stato
informato della vostra presenza in
questa città ed ha
subito espresso il desiderio di avervi
sotto il tetto regale.
Le guardie reali non
hanno punto esagerato portan-
doci le vostre
notizie, voi siete davvero l'uomo più
singolare che si sia
mai veduto sotto tutti i regni di
questo mondo. Voi
venite dunque?
— Di lassù.
— Dove lassù ?
— Lassù dove io rimasi
sempre prima di scendere
alla luce.
— Siete stato molto
tempo prima di venire alla
luce ?
— Ci sarà stato quanto
tutti gli altri, nove mesi.
— Forse più di trent'anni.
Anzi, certo, trentadue in
trentatre anni.
— Ma ci canzona
sapete, ci canzona.
— Non ha punto aria da
canzonare, taci.
— Domandagli quando è
nato.
— Quando siete nato ?
— Non so. Stamane
all'alba io discesi alla luce.
. — Ma che diavolo vuol
dire con questo scendere ?
— Vuol dire che è
venuto alla luce stamani, na-
scere e venire non è
la stessa cosa ?
— Ma lui dice che è
sceso.
— E quando uno nasce
cosa fa, sale ?
— Ma nemmeno scende.
Ed è nato così grande e
grosso ?
— 17 —
— Ma è di fumo, è di
fumo, cosa e' è da stupirsi ?
— Scusate, siete nato
con le scarpe ?
— No, le trovai appena
sceso.
— E dagli con questo
sceso !
— Ma lui dice sceso
per nato, cosa e' è da stupirsi ?
— E avendo vissuto
trent'anni e forse più, come
voi dite, nel seno
materno, dovreste serbare un ri-
cordo, una visione di
quel tempo.
— Un ricordo, non una
visione. Tutto io rammento
ora per ora, ma vedere
non mi era possibile, intorno a
me era tutto nero.
— Ma allora vedevate ?
— Nero.
— Voi vedevate nero ?
— Ma sicuro, ma
sicuro, cosa e' è da farla tanto
lunga, nel seno
materno non si può vedere che nero.
Che cosa si deve
vedere ?
— Caro mio, nel seno
materno si vede un bel corno !
— Si vede che lui ci
vedeva, e vedeva nero, un
utero nero, ecco tutto
!
— Utero nero ?
— Ma naturalmente,
cosa e' è di strano ?
— Diteci un poco,
signore, come lasciaste vostra
madre ?
— Quando io discesi
esse non c'erano più, ed io
discesi appunto perchè
non udii più la loro voce.
— Esse ? Chi ?
— Pena ! Rete ! Lama !
— Chi sono ?
— Sono le sue madri.
t — Il Codtct di
Perélà
— i8 —
— Ma è pazzo, è pazzo
!
— Come come come ?
— Sì.
— Sì ? Avete tre madri
?
— È pazzo !
— Sicuro, ha tre
madri, cosa c'è di strano, è un uomo
strano, è strano in
tutto, cosa e' è di strano ?
— Pena ! Rete ! Lama !
Pena ! Rete ! Lama ! Pe..,.
Re.... La....
— Chiamiamolo Perelà !
— Chiamiamolo Perelà.
— Ma no Perelà, cosa
vuol dire Perelà ?
— Ci fu un re che si
chiamava Gola, cosa vuol dire
Gola ? Si può chiamare
lui Perelà.
— Ma dunque
spiegateci, spiegateci per amor del
cielo, che cosa
dobbiamo raccontare al Re ?
— Dove io restai fino
a stamane, non era il seno
di una qualunque
madre, era la sommità di un camino.
— Ahaaaaa !
— Uhuuuuu !
— Ohooooo !
— Ecco !
— Un camino ?
— Povero diavolo !
— Ardevano sotto a me
costantemente alcuni tron-
chi, un perenne, mite
fuocherello, ed una spira di fumo
saliva su su per il
camino dove io era. Non ricordo
quando in me nacque la
ragione, ma io incominciai
ad esistere, e
gradatamente conobbi il mio essere, udii,
capii, sentii. Udii in
principio una confusa cantilena
— 19 —
di voci che mi
sembrarono uguali, capii che sotto a me
esistevano degli
esseri che avevano qualche attinenza
con me, sentii che io
era una vita.
Intesi giorno per
giorno meglio le voci, incominciai
a distinguere le
parole, capirne il significato, e sentii
ch'esse rimanevano in
me non inerti, ma incomincia-
vano la trama di un
loro lavoro.
Senza interruzione il
fuoco ardeva e la spira calda
saliva ad alimentare
questa mia vita. Io era oramai
un uomo.
Sotto a me erano tre
vecchie che alternativamente
leggevano,
alternativamente parlavano. Appresi così
quello che gli altri
uomini apprendono dai loro inse-
gnanti. Pena, Rete,
Lama, non tralasciarono di prepa-
rarmi a nessuna utile
cognizione.
Io imparai di guerra,
d'amore, di filosofia.... tutto
era in quel libro.
— Anche la filosofia ?
— SI.... una filosofia
leggera.... leggera.... era quella
che poteva giungere
sino a me.
— Meno male.
—
E tutte le
cose mi giungevano così.
Mara
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