L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio-recensione




In questo articolo, vi propongo la mia recensione di un romanzo che, a primo impatto, non mi aveva incuriosita abbastanza. Probabilmente per l’incomprensibilità del titolo: L’Arminuta (di Donatella di Pietrantonio, Einaudi editore). Una parola che, a chi abruzzese non è, suona  assolutamente oscura.
Arminuta in vernacolo abruzzese  vuol dire “ritornata”. Questo libro ha vinto il Premio Campello 2017, ed ora credo davvero non sia stato un caso.

Ambientata nella rurale e antica terra dell’Abruzzo degli anni ’50, questa  infatti, è la storia di un ritorno, di un riattacamento piuttosto tardivo alle proprie radici, da parte di un’ adolescente di 13 anni, il cui nome resterà ignoto fino alla fine del romanzo. La protagonista sarà sempre e semplicemente l’Arminuta per l'intera durata della lettura.

E’ la storia di uno strappo violento e di una cucitura altrettanto traumatica, di un “rapimento” consensuale tra due famiglie, e di una restituzione al mittente per motivi che il lettore apprenderà, con tanto di incredulità e una punta d’ indignazione, solo in chiusura del romanzo. 

Insomma, una ragazzina che si ritrova, contro la sua volontà, ad avere due mamme, quella del mare e quella del paese. Due nuclei familiari,  uno di sangue, che vive in un paesino abruzzese e sopravvive alla povertà e alla fame come può, e un altro di adozione “a tempo determinato”, che vive in città e che le ha sempre garantito benessere, serenità e istruzione.

A 13 anni la ragazza verrà restituita alla mamma del paese, la sua mamma biologica  e alla sua già numerosa famiglia, composta da marito, 3 figli maschi di cui uno ancora in fasce, e una ragazzina di 10 anni, Adriana. Sarà proprio quest’ultima a costituire il biglietto da visita per l’Arminuta.  Le aprirà la porta di casa con le trecce allentate di qualche giorno  e con odore di fritto sprigionarsi attorno a lei. Adriana è sua sorella di sangue, ma non l’ha mai vista prima.

Sin dall’inizio, dunque, la sensazione che assale il lettore è l’assurdità della situazione. Tutto è surreale, i gesti, le parole, le reazioni emotive dei personaggi. In una gara tra fratelli maggiori ad “accaparrarsi i posti a tavola” per giocarsi le polpette di pane nell'unico piatto centrale, l'Arminuta in pochi giorni imparerà a competere con gli altri commensali in quel cruento duello di forchette senza regole. 
I genitori naturali, appaiono quasi indifferenti al suo arrivo, è come se non l'avessero mai data via quella figlia o, peggio ancora, come se non l'avessero mai avuta.  Un dubbio terribile che permane lungo l'intero racconto e che tormenta l'Arminuta.

I miei primi genitori si sono ricordati soltanto dopo cena che in casa mancava un letto per me.

Ed è proprio il tormento il sentimento predominante in questo libro, scritto con un periodare, a tratti, istericamente paratattico, scandito da punti fermi che costringono il lettore a brusche frenate di riflessione su ogni singola parola. Una scrittura spezzata che riflette un animo spezzato, uno stile duro e spigoloso che rende al massimo la rabbia della protagonista che ha perso improvvisamente una vita per entrarne in un'altra, che non si riconosce più né nell'una né nell'altra. Frequenti anche espressioni in vernacolo abruzzese, specchio di un contesto sociale umile e deprivato.



Il personaggio che potrebbe provocare maggior disappunto nel lettore è senz'altro Adalgisa, la madre adottiva della ragazza, la responsabile di tutto, colei che ha desiderato ardentemente quella figlia ma, al momento opportuno, l'ha resa ai legittimi proprietari, così come si rende un pacco. Non svelerò altro su questo personaggio ambiguo, presente a tratti nel romanzo, spesso solo citata, ma sempre dilagante come macchia peccaminosa. Un personaggio problematico che lotta con se stessa per redimersi e liberarsi dai fantasmi della colpa facendolo  attraverso elargizioni, non certo d'affetto.

Co-protagonista del romanzo è senz'altro Adriana, sorella minore dell'Arminuta. Una ragazzina che frequenta ancora le elementari ma che si rivelerà prematuramente donna per la sua caparbietà, determinazione, voglia di seguire ovunque sua sorella maggiore, ma soprattutto, desiderio fraterno di restarle per sempre accanto, perchè l'Arminuta, probabilmente è “ritornata” proprio per lei, solo per lei!
Un personaggio a cui il lettore non può non affezionarsi,  per quella innocenza di bambina, per quella goffaggine dovuta a poca educazione, per il suo eloquio teneramente improprio che però, nei punti nevralgici del romanzo, è assolutamente chiaro, opportuno, efficace, incisivo.

L’Arminuta è un libro che consiglio vivamente e che andrebbe letto senza indagarne significati nascosti. Qui di nascosto c’è ben poco. E’, al contrario, una sorta di opera verista o neorealista, senza fronzoli . Punto. Un testo in cui la parola si concretizza in  denuncia di un malessere sociale ma anche emotivo: l’inadeguatezza.

In primavera è caduto il mio compleanno e non se n’è accorto nessuno. I genitori l’avevano scordato nel tempo trascorso senza di me e Adriana ignorava la mia data di nascita. Se gliel’avessi detta mi avrebbe festeggiata a modo suo, saltellando e tirandomi quattordici volte le orecchie. Ma l’ho tenuta segreta e mi sono fatta gli auguri da sola, appena scoccata la mezzanotte.




 Mara Tribuzio

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