La zona cieca di Chiara Gamberale


Questo romanzo firmato Gamberale, uno dei suoi primi, credo che contenga la carica più pesante di emozioni contrastanti, stridenti, inconciliabili tra loro e al limite del bipolarismo.

Non scherzo se dico apertamente che questa lettura mi ha “turbata”. E non parlo della trama che, è tirata all’essenziale, ma dello sviluppo psicologico dei due protagonisti, Lydia e Lorenzo, o Lilo e Lollo, più affettuosamente.  Di “sviluppo” in realtà non si tratta, a dirla tutta. Perché le emozioni dei due amanti, amatori, traditori, amici, nemici, complici e molto altro, seguono un percorso altalenante, vorticoso, da precipizio e risalita, da pendolo e montagne russe.

Lo stile di Chiara Gamberale lo conosce bene l’allenato lettore, ma in questo romanzo credo si riveli nella sua reale doppia caratterizzazione: arido, astioso, crudo, affamato per descrivere il bisogno d’amore, e intenso e incisivo per parlare dell’emozione ritrovata o vissuta per la prima volta nella sua più piena eruzione esplosiva.

È una relazione tra due ragazzi, quasi trentenne lei, Lydia, conduttrice di una trasmissione radiofonica che parla di storie d’amore complicate, e quasi  quarantenne lui, Lorenzo, scrittore che ha perso la vena poetica perché spesso nelle sue vene scorre ben altro. La ragazza ha un passato da anoressica, apparentemente guarita dopo qualche anno in una clinica psichiatrica, lui invece, dipendente da droghe, ansioso, irrequieto, impaziente e dall’autostima azzerata dal suo pensiero “immobile”, ha un matrimonio fallito alle spalle e vuole essere lasciato in pace perché teme di non essere all’altezza del bene altrui e della felicità stessa.

Un rapporto malato da entrambe le parti. Lei controlla lui in modo maniacale spiando nel suo cellulare e persino creando un finto account per corrispondere con lui via mail; lui fingendo di essere distratto, lascia che Lydia faccia tutto ciò che vuole, non si arrabbia mai, mostra sempre irritante indifferenza, né tanto meno si rivela geloso di lei, è impassibile anche dinanzi alle ricerche da investigatrice di Lydia, anzi a volte gli fanno anche comodo perché, se Lei scoprisse qualche sua tresca, lui se la scollerebbe un po’ di dosso.

Una relazione malata in ogni sua sfumatura che, mi spiace per la povera Lydia che si ostina a dipingerla come tale, non ha nulla a che vedere con una storia d’amore. Si tratta di un rapporto maniacale nel quale l’una cerca di trovare nell’altro il farmaco della propria guarigione, la cura alle proprie sofferenze, il cerotto per le proprie ferite, con un risultato devastante per entrambi. Sì, mi ha turbata questo romanzo, ma la Gamberale che, probabilmente aveva in mente proprio questo per i suoi lettori, ci è riuscita davvero molto bene. Lodi alla sua penna “spietata”, tagliente e a tratti nevrotica che ha colpito nel segno.

Una particolarità che ha appesantito e ha reso di difficile fluidità la lettura è stato(verso la fine) l’italiano maccheronico masticato molto male da un personaggio del libro (non voglio anticipare nulla) che è diventato anche noioso non solo per la forma (l’autrice faceva parlare in italiano un personaggio inglese, e a lungo andare la cosa ha stancato molto la sottoscritta), ma anche per i contenuti, ripetitivi, un po’ scontati, un po’ banali.
Credo che Chiara Gamberale rientri tra quelle autrici che o ami oppure ... per nulla!

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