Il potere della descrizione

 "Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato"(prefazione a Palomar, 1983, Italo Calvino). 




Palomar non è tra le opere di Italo Calvino a noi più note, perchè anche questa, ahimè, spesso non viene spesso contemplata negli studi scolastici, ed è un vero peccato! E' una raccolta di storie pubblicate sul Corriere e sulla Repubblica nel 1983, due anni prima della morte dello scrittore, ed il suo protagonista, Palomar, è l'ultimo personaggio inventato dal poliedrico Italo Calvino. 

Ritengo che questo romanzo si inserisca benissimo in un percorso didattico trasversale abbracciando numerose discipline quali la filosofia, la geografia fisica, antropica e astronomica, la scienza, la linguistica e glottologia, la metafisica, la religione. Si tratta infatti dell'esperienza tutta personale di un uomo qualunque alle prese con la conoscenza del mondo nella sua totalità, o meglio, come dice lo stesso Italo Calvino, il "tentativo di spiegare ogni singolo fenomeno della vita in un'ottica cosmica."

Palomar, il cui nome è un chiaro e intenzionale riferimento all'Osservatorio astronomico sito sul Monte Palomar negli Stati Uniti, 

insoddisfatto e annoiato da una vita quotidiana condotta nella consapevolezza e quasi nella rassegnazione di non conoscere i meccanismi e le leggi che regolano il mondo e l'universo, decide di guardare tutto ciò che lo circonda da un'ottica diversa, anzi da una "lente" diversa, la lente di ingrandimento sita nella sua indole curiosa e indagatrice, che lo porterà inevitabilmente a guardare sempre OLTRE il limite del "consueto", OLTRE ciò che per gli altri uomini è usuale o normale. 

Il suo accanimento all'osservazione approfondita è tale da consentirgli di cogliere ogni minimo dettaglio, ogni impercettibile movimento che potrebbe finalmente condurlo alla TEORIA, alla spiegazione ufficiale di fenomeni altrimenti inspiegabili. 

Leggiamo un piccolo passo in cui Palomar è alle prese con l'osservazione delle onde: 


«Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. Non sta contemplando, perché per la contemplazione ci vuole un temperamento adatto, uno stato d’animo adatto e un concorso di circostanze esterne adatto: e per quanto il signor Palomar non abbia nulla contro la contemplazione in linea di principio, tuttavia nessuna di quelle tre condizioni si verifica per lui. Infine non sono le onde che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta: volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso.»
[...]
«...non si può osservare un’onda senza tener conto degli aspetti complessi che concorrono a formarla e di quelli altrettanto complessi a cui essa da luogo.»

Più Palomar cerca di isolare l'onda per analizzarla singolarmente, più si rende conto che ciò è impossibile, perchè il fenomeno onda è inevitabilmente legato ad altri fattori che la causano e ad altri effetti che essa stessa produce. Dopo altri tentativi di allargare il campo visivo dalla singola onda a sequenze di onde, e da sequenze di onde alla spiaggia su cui esse di infrangono...il risultato è questo. 

«Forse il vero risultato a cui il signor Palomar sta per giungere è di far correre le onde in verso opposto, di capovolgere il tempo, di scorgere la vera sostanza del mondo al di là delle abitudini sensoriali e mentali? No, egli arriva fino a provare un leggero capogiro e non oltre. L’ostinazione che spinge le onde verso la costa ha partita vinta: di fatto si sono parecchio ingrossate. Che il vento stia per cambiare? Guai se l’immagine che il signor Palomar è riuscito minuziosamente a mettere insieme si sconvolge e frantuma e disperde.
Solo se egli riesce a tenerne presenti tutti gli aspetti insieme, può iniziare la seconda fase dell’operazione: estendere questa conoscenza all’intero universo. Basterebbe non perdere la pazienza, cosa che non tarda ad avvenire. Il signor Palomar s’allontana lungo la spiaggia, coi nervi tesi com’era arrivato e ancor più insicuro di tutto.»

Questo modo ingordo di osservare, di scrutare, di non fermarsi alla visione "sufficiente" per l'uomo medio, delle cose, porta il protagonista a riflettere su se stesso e sui suoi limiti conoscitivi ma non cognitivi. 
E' una battaglia interiore tra le potenzialità della sua mente analitica e la mancanza di strumenti umani adatti ad analizzare. 

Calvino, molto influenzato dalle scienze in questo suo romanzo, esaspera la voglia di conoscenza dell'uomo a tal punto da dimostrare invece il contrario, ovvero i limiti dell'uomo nella sua ricerca del sapere universale. 

Lo stesso accanimento Palomar lo manifesterà nell'osservazione delle stelle, di un prato, di un tempio buddista a Kyoto, di una fabbrica di formaggi e di molti altri luoghi e oggetti. 
Il risultato è sempre lo stesso: non si può spiegare tutto. All'uomo non è dato. Allora qual è la soluzione più vicina alla "spiegazione"? Per Italo Calvino è una: la DESCRIZIONE. L'uomo può descrivere tutto ciò che vede, sente, tocca, ma ... anche tutto ciò che non vede, non sente, non tocca. 

Non sarà Scienza, non sarà Verità, ma quando ci fermiamo a descrivere non facciamo altro che "de" "scribere" scrivere da, cioè figurare (con la scirttura ma anche con la parola, con i movimenti, con l'arte, ecc...) partendo da un modello, da un punto di partenza che ci ha colpiti. 

L'ansia dell'ignoto soprattutto per chi è molto scettico e pragmatico, può sicuramente essere vinta dalla serenità che provoca una qualsiasi descrizione. L'uomo non conoscerà certo tutto ciò che c'è oltre la linea del finito, ma può aprire varchi innumerevoli e infiniti e andare molto più lontano con la lente dell'immaginazione, della passione, dell'entusiasmo, del cuore. 

Mara

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