Poeta maledetto?

Oggi ho voglia di soffermarmi un pò su un poeta che, ahimè, nei programmi scolastici ha un ruolo ingiustamente marginale o addirittura, in molti casi,  non se ne fa neanche menzione: Dino Campana.

Poeta dei primi anni del Novecento, toscano e figlio di una famiglia borghese molto legata all'etichetta, è meglio noto come "poeta visionario", poeta "simbolico" e, da un punto di vista più prettamente pittorico, "impressionista" per il suo talento nell'utilizzare un lessico colmo di immagini, paesaggi, colori, ma anche musica.

Non mi dilungherò sulla sua vita (che non è stata tra le più felici), ma qualche parola la spenderò sulla condizione per cui Dino Campana è da molti ricordato: la sua pazzia, all'epoca diagnosticata con certezza, che lo ha condotto più di una volta a trascorrere diversi anni in istituti di cura psichiatrici, detti in gergo o, come a molti piace chiamarli con stizza , manicomi.

Al di là dei dettagli sui suoi disturbi che lo portavano ad alternare momenti di violenza e nevrastenia a momenti di isolamento sociale, Dino Campana, il "buffone del villaggio", il figlio grande trascurato da sua madre per il fratellino piccolo, il ragazzino definito "l'anticristo" dalla stessa madre bigotta e accecata da un fanatismo cristiano inenarrabile, giunge alla sua condizione mentale di pazzia come quest'ultima fosse un approdo alla tanto agognata LIBERTA', libertà dai pregiudizi del tempo nei confronti degli insani mentali, libertà di poter vivere senza sentirsi "marchiato" o macchiato a vita e senza il timore di essere motivo di imbarazzo per la sua famiglia, libertà di esprimere con parole o con simboli, suoni, elementi della natura, la sua personalità e il suo amore per le poche "persone buone" che aveva conosciuto.

Il tema della follia in letteratura è talmente ampio ed ha così tante svariate letture, che in questa sede non sarebbe possibile affrontarlo. Tuttavia mi piace pensare alla PAZZIA di Campana come uno stato di serenità piuttosto che di tormento,  e soprattutto di creatività. Del resto il suo unico libro si intitola "Canti Orfici" e quest'ultimo aggettivo non solo racchiude il fascino del mito, ma indica anche ciò che è mistero e al contempo rivelazione, creazione.

 E' come se la sua pazzia gli abbia permesso di partorire la sua poesia in uno slancio verso l'unione più intima con il mondo e la natura, verso la scoperta del Vero, a tutti i "sani" mentali " ancora ignoto.


Da Varie e frammenti


Barche amorrate

...
Le vele le vele le vele
Che schioccano e frustano al vento
Che gonfia di vane sequele
Le vele le vele le vele!
Che tesson e tesson: lamento
Volubil che l'onda che ammorza
Ne l'onda volubile smorza...
Ne l'ultimo schianto crudele...

Le vele le vele le vele

E' principalmente la musica, più che la musicalità, quella che fuoriesce da questi versi grazie ad un susseguirsi di figure di suono quali l'anafora del pronome relativo "Che", della preposizione articolata poetica "Ne = nel", dell'articolo indicativo "Le"; oltre che della ripetizione della parola "vele" in un climax emotivo crescente di entusiasmo all'inizio "Le vele le vele le vele!", e decrescente di ironica amarezza,  alla fine. In una poesia musicata come questa,  la ripetizione "Le vele le vele le vele" costituisce a tutti gli effetti una sorta di ritornello.

Il ritmo musicale è provocato anche dalle varie rime (vele/sequele/vele, vento/lamento, ammorza/smorza, ed infine crudele/vele. 
Notiamo anche l'uso dell'enjambement al v 2, e al v 5 che sospendono più che le frasi, le sensazioni.



Le vele gonfiate dal vento sono preludio di un viaggio verso nuove mete, esse "schioccano" e, ad ogni colpo di vento, tant'è quest'ultimo vigoroso, emanano lo stesso suono vibrante di frustate.
Il vento gonfia ripetutamente quelle vele che sembrano espandersi sempre più (tesson e tesson), ma l'espressione "vane sequele"nasconde già il presentimento del poeta che quel viaggio potrebbe non portarlo in alcun luogo.

Infatti nella seconda parte della poesia quell'allegro "schioccare" viene definito "lamento volubile", dunque instabile, mutevole, che in un climax ascendente negativo, viene prima

attutito dale onde contrarie (metafora delle avversità della vita),
poi smorzato, quindi soffocato, spento, ammutolito,
per poi essere definitivamente annullato e schiacciato (schianto crudele).

Infine il titolo stesso "barche amorrate" che significa barche ormeggiate, indica sin da subito l'impossibilità dell'imbarcazione a muoversi, il suo essere inevitabilmente fissata, assicurata a qualche crudele punto di presa.

E' possibile che in questi versi il poeta abbia racchiuso il suo disagio esistenziale consistente da un lato, nel nutrire speranze di miglioramento e riscatto della propria vita (le vele gonfiate dal vento indicano avanzamento), dall'altro nel constatare che tali speranze sono in realtà vanificate da ostacoli insormontabili quali il pregiudizio della gente, l'incomunicabilità con la società in cui viveva, la consapevolezza di non essere compreso e di non comprendere a sua volta, un mondo in cui si sentiva un inadeguato.


Mara

Commenti

  1. Bellissimo.
    Hai ragione. Si parla poco di Dino Campana. Figurati che io l'ho conosciuto solo nel 2002, quando la sua vita venne raccontata da Michele Placido nel film "Un viaggio chiamato amore".

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